Perché le istruzioni del Vaticano per le scuole cattoliche violano la Costituzione

Un nuovo regolamento del Vaticano diretto alle scuole cattoliche raccomanda comportamenti discriminatori che in Italia violano la Costituzione. Il Vaticano infatti ha emanato una nuova direttiva per le scuole cattoliche che prevede il licenziamento per i docenti e il personale degli istituti che non vivono secondo i dettami della Chiesa cattolica (ne ha scritto sul Corriere Orsola Riva). Significa che, secondo le linee di condotta emanate dalla Chiesa, se una docente di una scuola paritaria rimane incinta fuori dal matrimonio «dovrebbe» essere sanzionata con la perdita del lavoro. Lo stesso «dovrebbe» succedere in base al nuovo regolamento ai docenti che divorziano, che convivono fuori dal matrimonio, a quelli hanno relazioni con persone dello stesso sesso e che stringono un’unione civile. Oppure in caso di interruzioni volontarie di gravidanza. L’istruzione della Congregazione per l’Educazione cattolica intitolata «L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo» (qui il testo su Vatican.va) prevede testualmente che se i dipendenti delle scuole cattoliche non si adeguano ai «valori e comportamenti» del cattolicesimo, «essi possono essere sanzionati come espressione di una mancanza di onestà professionale», fino al «licenziamento» come «ultima opzione, che va legittimamente presa dopo il fallimento di tutti gli altri tentativi di risoluzione».

In Italia però queste «sanzioni» sono vietate dalla Costituzione perché rappresentano una discriminazione sulla base delle caratteristiche personali. Lo ha ribadito una recente sentenza della Cassazione, che nel novembre 2021 ha condannato una scuola paritaria di Trento che non aveva rinnovato il contratto a una professoressa in base al «sospetto» che fosse lesbica. All’epoca la madre superiora che dirigeva la scuola aveva detto alla 27esima Ora del Corriere di aver scelto di bloccare il contratto per «tutelare l’ambiente scolastico». «Il problema esiste; la scuola cattolica ha una sua caratteristica e un insieme di aspetti educativi e orientativi: a noi sembra di doverli difendere a tutti i costi», aveva aggiunto, secondo un principio ribadito ora dalla Congregazione per l’Educazione cattolica, l’ente vaticano che indirizza e regola le scuole e università cattoliche. I giudici della Cassazione avevano invece ribadito che, se pure ci sono «disposizioni, anche costituzionali, a fondamento della libertà di organizzazione dell’Istituto religioso», esse non permettono di «legittimare condotte apertamente discriminatorie». Analogamente la Corte Suprema americana nel 2020 ha sancito il divieto di licenziare qualcuno per il suo orientamento sessuale o la sua identità di genere.

La nuova istruzione della Congregazione per l’Educazione cattolica arriva dopo queste due sentenze e dopo che il coming out di massa dei dipendenti della Chiesa cattolica tedesca, docenti e personale della scuola compresi, ha risollevato il problema. In Germania la legge, a differenza di quanto succede in Italia, in Francia o negli Stati Uniti, dà a tutte le Chiese l’autonomia di stabilire le loro regole interne. Tra queste c’è la clausola di lealtà della Chiesa cattolica che obbliga i suoi dipendenti a vivere e comportarsi secondo la sua dottrina. Quando però a gennaio centinaia di lavoratori delle scuole e delle organizzazioni cattoliche tedesche hanno fatto coming out, la Conferenza episcopale tedesca ha fatto sapere che per loro non ci sarebbero state conseguenze. Il documento della Congregazione per l’Educazione cattolica è anche un richiamo alla Chiesa tedesca, considerata troppo aperta e liberale da una parte del mondo cattolico. La nuova istruzione però non riguarda solo le persone lgbt+, ma anche ad esempio le madri o i padri single, i separati o i divorziati.

La Congregazione per l’Educazione cattolica fa esplicitamente riferimento agli Stati che, come l’Italia e l’intera Unione europea, vietano la discriminazione sul lavoro sulla base di determinate caratteristiche personali. «Le scuole cattoliche devono essere munite di una dichiarazione della propria missione oppure di un codice di comportamento. Questi sono strumenti per la garanzia della qualità istituzionale e professionale. Occorre quindi rafforzarli giuridicamente tramite contratti di lavoro o altre dichiarazioni contrattuali dei soggetti coinvolti con chiaro valore legale. Si prende atto che in tanti Paesi la legge civile esclude una “discriminazione” a causa della religione, dell’orientamento sessuale nonché di altri aspetti della vita privata. Nello stesso tempo, viene riconosciuta alle istituzioni educative la possibilità di munirsi di un profilo di valori e di un codice di comportamenti da rispettare. Nel momento in cui tali valori e comportamenti non siano rispettati dai soggetti interessati, essi possono essere sanzionati come espressione di una mancanza di onestà professionale nel non adempimento delle clausole definite negli appositi contratti e nelle linee-guida istituzionali» si legge nel documento.

Un passaggio in particolare sembra far riferimento alla sentenza italiana e a quella degli Stati Uniti: «I problemi giuridici e di competenza delle istituzioni educative cattoliche nascono anche a causa del doppio inquadramento normativo: canonico e statale-civile. Dalla diversità di scopi delle relative legislazioni, può accadere che lo Stato imponga alle istituzioni cattoliche, che operano nella sfera pubblica, comportamenti non consoni che mettano in dubbio la credibilità dottrinale e disciplinare della Chiesa. Qualche volta anche l’opinione pubblica rende quasi impossibili le soluzioni in linea con i principi della morale cattolica».

Il documento quindi indica strumenti alternativi per sanzionare i lavoratori che non vivono secondo i dettami della Chiesa. «Al di là delle norme esclusivamente giuridiche, si mostrano spesso efficaci altri strumenti più adatti alla promozione della responsabilità di ciascuno a favore della identità dell’istituzione — scrive la Congregazione per l’educazione cattolica —. Per esempio, le procedure di autovalutazione individuale e collettiva all’interno dell’istituzione, gli accordi orientativi sui livelli di qualità desiderati, i programmi di formazione permanente e di promozione e rafforzamento della professionalità, gli incentivi e i premi nonché la raccolta, la documentazione e lo studio di buone prassi». Ma secondo la legge italiana anche le altre forme di sanzione sono vietate. «Anche la mancate promozioni, se sono dovute a una caratteristica personale protetta dei lavoratori, sono illegittime» spiega Anna Lorenzetti, professoressa di Diritto costituzionale dell’Università di Bergamo ed esperto di diritto antidiscriminatorio. (Fonte: Corriere della Sera)

di ELENA TEBANO