La scuola regionalizzata è un attacco alla democrazia

Il controllo diretto sui dirigenti scolastici e sui capi degli uffici scolastici è l’obiettivo delle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata. Il giurista Mario Ricciardi: «Così vogliono governare il cuore e il vertice del sistema» .

di Donatella Coccoli

Alla fine la vera opposizione all’autonomia differenziata, alle Regioni che vogliono prendersi tutto, compresa la scuola, la stan- no realizzando proprio loro, gli insegnanti. Tutti, dal Nord al Sud. E chissà che non c'entri anche questo, nella decisione di far slittare l’intesa governo-Regioni, visto che il M5s alle ultime elezioni politiche aveva trovato un bacino di elettori proprio tra gli insegnanti. Non si era mai vista una unità così massiccia di tutte le sigle sindacali, associazioni, reti degli studenti. Mai, nemmeno ai tempi della battaglia contro la Buona scuola, nel maggio 2015. Basti pensare che contro la regionalizzazione della scuola hanno redatto un documento unitario sindacati che vanno dalla Cisl ai Cobas, associazioni professionali come Cidi, Mce, l’associazione per la scuola della Repubblica, il Gruppo No Invalsi, gli autoconvocati della scuola, i comitati Lip scuola e i movimenti degli studenti: una trentina di sigle sotto l’hashtag #RestiamoUniti. Se tutto il mondo della scuola si è mosso all’unisono e gli studenti hanno fatto della regionalizzazione uno dei bersagli delle proteste del 22 febbraio - insieme al nuovo esame di Stato - significa che l’attacco portato all’istruzione pubblica è di proporzioni gigantesche. «La scuola non è un semplice servizio - sottolineano i firmatari dell’appello unitario - ma una funzione primaria garantita dallo Stato a tutti i cittadini», al di là del reddito e naturalmente al di là della regione dove vivono. L’istruzione, ricordiamo, è una delle materie - secondo l’articolo 117 della Costituzione riformata nel 2001 - che Veneto e Lombardia chiedono di gestire in toto, mentre l’Emilia Romagna si è ritagliata una fetta più esigua, quella dell’istruzione professionale. Lo scenario che si prospetta, almeno dalle bozze delle intese governo-Regioni - rese note da Roars l’11 febbraio - è quello di un controllo generale sul sistema scolastico, come si deduce leggendo l’articolo 10 “Competenze in materia di istruzione” della bozza d’intesa del Veneto (sovrapponibile a quella della Lombardia). Alla Regione spetta «la potestà legislativa» su finalità, funzioni, organizzazione del sistema educativo di istruzione e formazione regionale, compresi il sistema di valutazione e naturalmente i percorsi di alternanza scuola-lavoro e l’istruzione professionale. E nell’articolo 11 si spiega come. Semplice: vengono trasferite alla Regione «le risorse umane e finanziarie dell’Ufficio scolastico regionale e degli Uffici d’ambito territoriale», mentre per i dirigenti scolastici è previsto «uno specifico ruolo regionale». I docenti, così come il personale Ata, invece possono scegliere se rimanere statali o diventare regionali ma i nuovi assunti invece sa- ranno immessi in appositi ruoli regionali. Qual è il senso di questa operazione? «Il fatto di imporre che chi tiene le fila su come si muove la scuola nel territorio diventi dipendente regionale non è cosa di poco conto. Mi spaventa più questo aspetto che non il contratto dei docenti che pure è gravissimo perché introduce gabbie salariali e stipendi diversi tra le regioni con il rischio di innescare meccanismi di disturbo nella quiete sociale», dice Carlo Salmaso, insegnante di Padova che fa parte del Comitato nazionale Lip scuola. 

Mario Ricciardi, già docente di Diritto del lavoro a Bologna e per dieci anni componente dell’Aran, l’Agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni per la stipula dei contratti nazionali, aggiunge un’altra riflessione. «Se una regione chiede tutte quelle competenze lo fa perché vuole controllare i contenuti e gli indirizzi della formazione scolastica. Appropriandosi dello status giuridico dei dirigenti scolastici vuole governare il cuore e il vertice del sistema. Vuole fare insomma un’operazione con la quale si impossessa di un pezzo importante della società e soprattutto della formazione dei giovani». Quanto il Veneto voglia rendere “propria” l’istruzione, già si era manifestato a ottobre con il patto tra il ministro dell’Istruzione Bus-setti e il governatore Zaia per l’introduzione nelle scuole della nuova materia di storia e cultura del Veneto. Ma in questo caso si va oltre. Se altre regioni seguissero l’esempio del Veneto e della Lombardia con i contratti integrativi previsti in tutte le materie «si arriverebbe a un fortissimo indebolimento del contratto nazionale fino alla sua dissoluzione», continua il giurista che aggiunge un dato di realtà dovuto anche alla sua esperienza all’Aran: «Del resto che ci sia una ostilità per il contratto nazionale di lavoro da parte della destra italiana non è una novità». Con la regionalizzazione, insomma, si arriverebbe al sogno leghista del Nord: «Impossessarsi di tutta la pubblica amministrazione», conclude Ricciardi. E in questa visione antistorica, in cui il sapere è sotto controllo e finalizzato a obiettivi circoscritti, per i quali la scuola non è certamente “disinteressata” come sosteneva Gramsci - che aveva un’idea “alta” di formazione individuale e collettiva - i rischi sono dietro l’angolo. Nella bozza d’intesa per esempio si prevedono «ulteriori criteri» per riconoscere la parità scolastica agli istituti privati. Non è un mistero che Veneto e Lombardia già adesso elargiscano fondi a iosa alle paritarie, cattoliche perlopiù. Con la regionalizzazione, il meccanismo dei costi standard e i buoni per le famiglie, spiega Salmaso, «aumenteranno i fondi alle paritarie e ci saranno soldi in meno per le scuole statali». In Veneto già adesso il 70% delle scuole dell’infanzia sono paritarie cattoliche, pregiudicando il diritto di scelta delle famiglie. E sempre in Veneto esistono discriminazioni - sulla falsariga delle mense di Lodi - nei confronti dei cittadini non comunitari a cui sono stati richiesti documenti difficili da rintracciare nei Paesi d’origine per ottenere il bonus libri, come testimoniano le polemiche scoppiate nell’ottobre 2018.

Insomma, se già adesso è difficile realizzare un’istruzione che sia laica, democratica e aperta a tutti i cittadini, con l’autonomia differenziata le cose si complicheranno ancora di più. Ma la mobilitazione dei sindacati e delle associazioni continua, unitaria. Si prevedono assemblee nelle scuole e nei territori del Nord, mentre dal Sud arriva un’ondata compatta anti-secessionista, dai Partigiani della scuola pubblica fino ai Comuni che fanno ricorso contro il federalismo fiscale per recuperare il fondo perequativo. La mobilitazione continua anche perché tutti sanno che lo stallo attuale della trattativa tra governo e Regioni è dovuta solo all’attesa delle elezioni europee. Dopo, nel silenzio, l’ipotesi autonomia si riaffaccerà. La sfida allora è quella di far passare l’idea che la scuola è un organo costituzionale, come sosteneva Calamandrei, ed è unitaria. Ed è un pilastro per la democrazia.

Fonte: LEFT 1 marzo 2019