La didattica inclusiva e l'esclusione sociale. Analisi di un paradosso

Con una nota del 3 aprile scorso il Ministero dell’Istruzione (Miur) è tornato a richiamare l’attenzione dei docenti sulla complessa questione della didattica per gli alunni con bisogni educativi speciali (Bes). Per i non addetti ai lavori, si tratta di una macro-categoria, mediante la quale ci si riferisce ad aree di tutela differenziate – come l’ambito della disabilità (cui fa riferimento la legge 104/1992) l’area dei disturbi specifici dell’apprendimento (legge 170/2010), e a cui si aggiungono – in virtù di una direttiva del 2012 – tante altre situazioni di svantaggio o marginalità, alcune delle quali estranee a qualsiasi processo diagnostico, ma pure riferentisi ad allievi bisognosi di misure didattiche peculiari (ad esempio gli alunni provenienti da contesti degradati). Gli studenti in situazione di disabilità cui fa riferimento la legge 104 sono accompagnati nell’apprendimento e nell’integrazione sociale da insegnanti di sostegno (e spesso anche da assistenti educativi), che cooperano a diverso titolo con gli altri docenti, con la famiglia, con i medici e con eventuali strutture associative presenti sul territorio, nella definizione e realizzazione di un Piano educativo individualizzato (Pei). La legge 170 concerne invece le politiche di inclusione scolastica per gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento (con particolare riferimento a dislessia, disgrafia e discalculia), per i quali non è prevista la presenza di insegnanti di sostegno, ma è riconosciuto il diritto a un Piano didattico personalizzato (Pdp), in cui siano esplicitate misure dispensative e strumenti compensativi, mirati a garantire il diritto all’istruzione. Analoga possibilità di ricorrere a un Pdp è prevista per altri casi di svantaggio, anche temporaneo (e qui il ventaglio della casistica è davvero ampio e sempre aperto a nuove situazioni critiche). (Leggi tutto)