Il tempo perso, i risultati degli studenti e il disciplinamento degli insegnanti

L’appello a modificare il calendario scolastico, sostenuto tra gli altri da Andrea Gavosto, Carlo Cottarelli, Paolo Sestito, Daniele Checchi e Roberto Maragliano, sembra aver trovato sponda negli ambienti ministeriali. La proposta di recuperare tempo in presenza prevede lo spostare in avanti la chiusura dell’anno scolastico redistribuendo i periodi di riposo, con pause invernali o primaverili più lunghe. Ciò lascerebbe immutato il numero complessivo di giorni di scuola, tra i più alti d’Europa, guadagnando giornate estive da svolgere in presenza, in un quadro sanitario probabilmente meno severo. La mossa di occupare l’estate di docenti e studenti -adesso giustificata in nome dell’uguaglianza- è sempre di grande impatto presso l’opinione pubblica. In periodi di emergenza, poi, suona come un “risarcimento” da parte di un’istituzione inefficace – la scuola – e dei suoi lavoratori “privilegiati”. Supporre che esista un tempo perso da recuperare significa avvalorare l’idea di insegnanti e studenti perennemente in debito nei confronti della società, alla rincorsa di obiettivi mai raggiunti: migliori standard didattici, per i docenti; precisi risultati di apprendimento, calcolabili rispetto a traguardi immediati, per gli studenti. Pensare di dover restituire il tempo perduto non è un fatto di semplice buon senso: interpella la nostra idea di scuola e le sue finalità. (leggi)